La scorsa notte ho tardato a prender sonno, come ogni notte da qualche mese.
Dopo essermi girata e rigirata più volte nel letto, mi sono addormentata insieme ad una riflessione: «Quante soddisfazioni in soli tre anni. mi sembra d’aver vissuto più ora che in tanti anni sommati fino all’età adulta. Ora sono autenticamente me, nonostante le incertezze, sono Serena».
Poi con un dolore nel cuore: «Papà, quante cose sto facendo. Sento una potente energia creativa. Di notte, la mia Anima mi spinge a fare e fare, per cui fatico a prender sonno mentre la mente si stanca, finché cedo a Morfeo.
Se solo tu fossi ancora qui, potresti aiutarmi ad applicare meglio gli insegnamenti di basso elettrico – il tuo strumento –, quando non sono a scuola con l’insegnante. Sarebbe una bella opportunità di contatto, un medium per sanare la quasi mancanza di comunicazione che c’è stata tra noi, soprattutto durante i tuoi ultimi giorni di vita.
Torneremmo a giocare insieme. In questo momento, ho bisogno del tuo affetto e delle tue braccia teneramente maschili. Chissà cosa mi diresti».
Il giorno dopo mi sono alzata alle 13 passate. Ancora spettinata e in risveglio, con il ricordo di quel bisogno d’affetto paterno, ho aperto la finestra e sono stata investita da raffiche di gelido vento che mi ha lasciata senza fiato e ha fatto sbattere la porta finestra, chiudendola.
Mi sono girata verso l’armadio e ho notato che, delle foto attaccate con il nastro adesivo, ce n’era una all’ingiù. L’ho rialzata e ho visto lui: “Roy”!
Roy Batty, il replicante protagonista del film “Blade Runner” che mio padre – quell’uomo strano – amava alla follia e in cui si riconosceva per il suo spietato desiderio di sopravvivere ad una società che lo voleva omologato alle nuove necessità di “mercato”. Roy lottava per la sua libertà.
«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi…». Il monologo di Roy è tra i più famosi e d’impatto nella storia del cinema. Mio padre Claudio aveva una foto uguale alla mia – a cui aveva aggiunto il monologo -, attaccata con le puntine a una parete della sua camera. Quella stessa foto, di Roy con la colomba, era caduta sul fianco che lui ancora mostrava al mondo quando lo abbiamo ritrovato nel suo letto, morto nel sonno.
Nella mia foto, invece, era stampato il testo d’una mia riflessione intitolata “Il guerriero svela il saggio”. Tempo fa si è strappato, risparmiando solo la frase di chiusura: «La maschera si è sgretolata, la sua Anima ora è libera di splendere».
Quando ho tirato su la foto ed ho letto quello stralcio di testo, ho sgranato gli occhi per il tonfo al cuore.
“… Chissà cosa mi diresti”.
Grazie, papà.
Coincidenza? Io non credo alle coincidenze, ma – mal che vada – è dolce poesia.
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