Sono da poco rientrata dal cinema della mia città dove ho visto “Parthenope”, il nuovo film di Paolo Sorrentino sulla leggenda della fondazione di Napoli. Il regista napoletano prende ispirazione dalla leggenda della sirena da cui si dice ebbe origine la città di Napoli e realizza una realtà in cui la città partenopea vive sotto le sembianze di una donna reale. Alla fine del film sono rimasta in uno stato tra lo shock e lo stupore e sono uscita dal cinema con un magone, commossa. Vi racconto la mia esperienza. Buona lettura!
“Parthenope” è un film tra sacro e profano che ha ricevuto polemiche e diviso soprattutto all’interno della critica, ma molto supporto dal pubblico, da quello che ho potuto leggere a posteriori. Il cast è un grande cast, che potete in locandina.
Breve sinossi: Parthenope è una donna che porta il nome della sua città, ma non è né sirena né mito. Seguiamo le vicende della sua vita attraverso i decenni, dagli anni 50 ai giorni nostri, tra Capri e Napoli.
Nel momento in cui la proiezione è iniziata, ho dimenticato che si raccontasse Napoli e mi sono ritrovata invece nella sceneggiatura di un viaggio antropologico tra aspetti sacri e profani dell’essere umano, tra la ricerca di risposte profonde e la mondanità che seduce i sensi. Un viaggio alchemico, alla fine del quale mi son resa conto di aver assistito, per quanto mi riguarda, a una sorta di “Divina Commedia”: dall’inferno personale nella storia di ognuno, si passa per il Purgatorio per arrivare – forse – a un Paradiso dove c’è una risposta consapevole, che la si chiami Beatrice, amore, riscatto. Un viaggio tra i demoni dell’inconscio e il venire alla luce in una nuova forma.
Fin dall’inizio c’è, com’è tipico di Sorrentino, la palese coesistenza di realtà e dimensione onirica che si compenetrano e in cui tutto sembra un po’ sospeso, compreso il giudizio nei confronti di scene e fatti che normalmente susciterebbero lo sdegno di chi osserva, per motivi etici, anche se non si scade mai nella volgarità. Più volte durante il film viene pronunciata la frase “Io non giudico te, tu non giudichi me”, che personalmente ho interpretato non come mancanza di distinzione tra bene e male, o etico e non etico, ma come opportunità per riuscire a vedere, parola chiave del film. Grazie a quella sospensione del giudizio, si può riuscire a vedere, a comprendere ciò che normalmente sfugge all’attenzione lucida.
Ogni personaggio svolge il suo ruolo e finita la sua scena, resta a osservare gli altri recitare la loro parte. L’impressione che ho avuto è proprio questa. Ogni personaggio esce dalla scena da protagonista ma resta come osservatore che nota delle ‘cose’ e si rende conto che quegli altri sembrano essere proiezioni di sé, per cui alla fine tutti sono anche gli altri, compreso lo spettatore del film. Grazie a riprese in soggettiva, infatti, ci si ritrova immersi in scene in modo così intenso emotivamente, che alla fine della pellicola, io personalmente sono rimasta con gli occhi sgranati. Soprattutto riguardo ad alcune scene che, in base al tipo di cultura che uno ha, potrebbero essere assai poco gradite.
Di fatti fino a circa la prima metà del film, considerato da alcune persone un po’ troppo lungo, secondo me ci sono le condizioni perché una persona possa addirittura pensare di andarsene. Come dicevo non c’è volgarità, ma ci sono delle tematiche e vicende che possono toccare nervi scoperti o pregiudizi. Ebbene, secondo me, se uno se ne andasse, si perderebbe una seconda parte con finale mozzafiato che dona molta bellezza. E sempre secondo me, andarsene, per certi versi, potrebbe essere addirittura po’ da ipocriti, ma non spiego i motivi. È un film che va vissuto e testimoniato.
Nella seconda parte, c’è un’intensa crescita di coinvolgimento emotivo, di ricerca di amore, di una tensione a liberarsi; ci sono abbracci, l’arrendersi all’esistenza della fragilità umana; c’è Umanità. E c’è una scena in particolare, la mia preferita in assoluto, in cui la protagonista Parthenope (Celeste Dalla Porta) conosce il figlio speciale del suo professore di antropologia (Silvio Orlando). Non svelo troppo, per chi vuole vedere il film. Riporto solo una parte del dialogo che mi ha sconvolta, distrutta, lasciata in uno stato di profondo stupore, che cito a memoria:
«È bellissimo». Dice Pathenope.
«Sì». Dice lui, poggiando la testa. «È fatto di sale e acqua».
E lei, dopo un attimo di osservazione, «… Come il mare».
L’acqua è un elemento fondamentale della storia. Si tratta di un dialogo che letto così non rende giustizia alla scena, perché manca tutto il resto, per cui vi consiglio di guardare il film e vedrete che, probabilmente, resterete a bocca aperta per la bellezza estrema di quel momento.
Fino a ieri non ero così sicura di andare a vedere “Parthenope”, ma alla fine mi sono fatta un bel dono, per tutto quello che questo ‘capolavoro di esseri umani’ mi ha lasciato. Grazie, Sorrentino e grazie ai fantastici attori.
Poesia.
Di seguito il trailer del film. Nella foto di copertina: Stefania Sandrelli (Parthenope adulta) e Celeste Dalla Porta (Parthenope ragazza e protagonista).
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