Se un evento spiacevole mi fa soffrire ancora, vuol dire che non ho fatto abbastanza per me?
Da quando ho iniziato il mio percorso spirituale e di crescita consapevole, ho acquisito strumenti e conoscenze da praticare che per me sono tuttora davvero funzionali.
Questi strumenti mi hanno aiutata a perfezionare la guarigione di dolori emozionali che avevano avuto un importante impatto anche sulla salute fisica.
I progressi hanno integrato il lavoro già svolto a livello medico e psicoterapico.
Insomma, una guarigione su più livelli!
Sono scesa in profondità. Nel buio di ciò che ancora non conoscevo, ho riconosciuto come alleati quei demoni contro cui avevo lottato.
Dopo l’esperienza con la depressione e gli attacchi di panico.
Dopo i disturbi alimentari.
Dopo l’esperienza durata anni con l’endometriosi e dopo la rimozione di un cancro che hanno causato la perdita di parti di me.
Dopo la perdita di un affetto con la morte di mio padre, cinque anni fa.
Ho scelto di lavorare seriamente scendendo nei miei abissi.
Ho cercato una risposta alla domanda «Può il dolore, soprattutto se forte, dissolversi realmente del tutto?»
Circa sei mesi fa, ho seguito un percorso sull’elaborazione del lutto certamente per ricevere supporto a seguito della morte di mio padre, ma anche per la perdita di quelle parti di me asportatemi in modo invasivo.
Parti con cui per trenta anni mi sono identificata. Frammenti di un’immagine persi in modo irreversibile. Un’identità minata.
Mi sono impegnata a costruirmi un’immagine rinnovata, trasformando e sublimando il dolore.
Non è stato cancellato. Forse un po’ per attaccamento, ma effettivamente mio padre mi manca fisicamente e continuerà a mancarmi: non tornerà.
Gli organi “morti” continueranno a mancare e il venir meno del loro contributo funzionale crea delle conseguenze a cascata nel mio fisico, che non sempre sono di facile gestione.
Che cosa mi ha insegnato l’esperienza?
Ho imparato ad alleggerire la percezione del dolore, consapevolizzandolo senza identificarmici ma osservandolo dal mio posto sicuro.
Quello “spazio” che in ambito spirituale e da chi si occupa di meditazione, yoga e di crescita personale a livello olistico viene chiamato “centratura“.
Il luogo in cui sono nell’Essenza, in comunione con l’Anima.
Il centro di Coscienza da cui so che esisto.
In quello stato sono il testimone di ciò che avviene al di là del muretto, dove accadono gli eventi compreso il dolore.
È una gran conquista!
Più sono costante in questo lavoro di conoscenza di me, più riesco a stabilizzare la continuità di percezione di quello stato di sicurezza e accudimento, evitando di essere travolta.
A volte torno ad immergermi nel dolore, quando una traccia riaffiora ma può durare al massimo dieci, quindici minuti.
Quel dolore ha evidentemente ancora qualcosa da dirmi.
Dalle sofferenze ho ricevuto insegnamenti che mi hanno reso più saggia.
Nella mia mente è giunta l’immagine di una bilancia con due piatti.
Ogni pietra di dolore presente su uno dei due piatti può trasformarsi in gemma di saggezza e trasferirsi sull’altro piatto, quello che dona la leggerezza del sollievo figlio della comprensione.
Tuttavia pur avendo cambiato forma e funzione, il “dolore” resta sulla bilancia strumento del cuore che onora il vissuto costruito con consapevolezza.
Ecco, ancora una volta la scrittura mi aiuta a ricevere risposte che forse non saranno mai esaustive ma mi portano maggior chiarezza e comprensione.
Una riposta al quesito che dà il titolo a questa riflessione è emersa, ricordandomi delle capacità e risorse di cui dispongo.
Non posso cancellare l’evento doloroso oggettivamente accaduto, ma posso lavorare sulla reazione, sulla percezione soggettiva che continuo ad avere di esso.
La chiave per aprire la serratura delle soluzioni è lavorare sulle convinzioni.
Sono convinta di dover dare ancora potere a quel dolore? Quanto gliene voglio dare? Come voglio gestirlo per evitare di subirlo? Che benefici posso “strappargli”?
Come posso aiutarmi? Prendendomi cura di me, applicando ciò che conosco e funziona.
Prendendo coraggio e chiedendo aiuto quando da sola non ce la faccio.
Se un evento spiacevole mi fa soffrire ancora, vuol dire che non ho fatto abbastanza?
No, vuol dire che fino ad ora ho fatto il possibile per me.
Procedo.
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