“Ti lancio un libro!” non è una minaccia, ma uno scherzoso modo di lanciare un’idea per una lettura. Da adesso, ha anche una copertina tutta sua. Non faccio recensioni e critiche, ma suggerisco di tanto in tanto uno o più libri – nuovi o pubblicati da tempo – da me letti, in base alla mia esperienza, con l’augurio che possa incuriosirti. Oggi, segnalo “La strega”, raccolta di racconti horror della controversa scrittrice statunitense Shirley Jackson, edita da Adelphi. Attento che arrivaaa!
Shirley Jackson (San Francisco, 1916-1965) è stata una scrittrice e giornalista statunitense, nota soprattutto per “L’incubo di Hill House” del 1959 e “La lotteria”. Ha esordito scrivendo per il prestigioso «The New Yorker» nel 1948. Nella sua carriera ha scritto anche opere per bambini, come “Nine Magic Wishes”, e persino un adattamento teatrale di Hansel e Gretel, “The Bad Children”. Muore per infarto nel 1965, forse a causa della terapia a base di psicoformaci che stava seguendo. Adelphi ha pubblicato nove titoli. Il più recente è “Un giorno come un altro” (2022).
I quattro racconti raccolti in “La strega” sono apparsi nel 1949 e hanno come protagonisti donne deliranti e bambini inquietanti. 66 pagine. Traduzione di Silvia Pareschi.
Da Wikipedia – Attraverso le sue opere possiamo comprendere la posizione sociale di molte donne vissute negli anni cinquanta del Novecento: le protagoniste sono isolate, solitarie, con un’identità frammentata, sono incapaci di relazionarsi al mondo esterno o di vivere autonomamente, hanno un vuoto interiore che spesso procura loro malattie mentali. Le donne nei romanzi di Jackson sono prive di identità e ciò le porta a cercare una guida e un senso fuori dal loro io, ma proprio quando escono dal sicuro e familiare ambiente domestico, l’incapacità di comunicare e relazionarsi con gli altri e la paura dell’ignoto creano in loro panico e paranoia. L’ansia è una delle caratteristiche fondamentali di queste donne: anche Jackson ne soffriva, e infatti definì i suoi libri un “documentario sull’ansia”.
Sinossi – Tre dei racconti qui riuniti hanno come protagoniste quelle creaturine infide, pericolose, enigmatiche che Shirley Jackson conosceva molto bene per aver cresciuto quattro «demoni», come chiamava – scherzosamente ma non troppo – i figli.
Un bambino che, viaggiando in treno, vede streghe ovunque, e non è detto che non abbia ragione.
Una ragazza che, sotto gli occhi di un presunto adulto un po’ alticcio, sfoggia un sapere e una saggezza apocalittici, mentre nella stanza accanto gli invitati a una festa sproloquiano sul futuro del mondo: «Non credo proprio che abbia molto futuro,» sentenzia con placido e inquietante distacco «almeno per com’è adesso . Se quando lei era giovane la gente si fosse spaventata davvero, oggi non saremmo messi così male».
E uno scolaretto che ne combina di tutti i colori, forse invisibile ma non per questo assente, come diceva sant’Agostino dei defunti, benché il marmocchio in questione sia vivo e vegeto.
Tre boîtes à surprise con le quali Shirley Jackson suscita, a partire dal candore arcano dei ragazzi, sorrisi e brividi glaciali in egual misura. Senza rinunciare a condurci, al seguito di una donna che deve farsi estrarre un molare, nel suo territorio d’elezione: quella zona d’ombra ai confini della follia dove le cose note perdono i loro connotati familiari e appaiono estranee e perturbanti, dove un luciferino sconosciuto, materializzatosi dal nulla al nostro fianco, può prenderci per mano e, in un battito di ciglia, portarci a correre sulla sabbia calda, mentre le onde «tintinnano come campanelli sulla spiaggia» e «i flauti suonano tutta la notte».
La Jackson è una scrittrice che suscita reazioni opposte, apprezzata o non, compresa o non del tutto? Ci sono lettori che amano la sua scrittura, il suo stile, l’inquietudine che resta alla fine della lettura oppure c’è chi lamenta finali di racconti senza spiegazioni, mancanza di paura e suspence.
Io personalmente, relativamente ai quattro racconti di “La strega” trovo un po’ di verità in entrambe le posizioni: non un horror spietato, aggressivo, pauroso, ma sicuramente c’è un’inquietudine subdola che si insinua e resta con te fino alla fine. I finali possono sembrare deboli, infantili come se la storia finisse all’improvviso senza colpi di scena; come se si dissolvesse una visione dell’autrice. Ma alla fine, come dicevo, resta un senso di irrequietezza che ti lascia sospeso. In particolar modo, trovo il racconto Charlie il più horror dei quattro.
Cosa può spingerti a leggere questa raccolta? Oltre, a quanto già scritto, la curiosità di capire e indagare perché sia la scrittrice icona e musa di Stephen King, ad esempio?
Buona lettura.
Oh! Ciao, Charlie…